17 febbraio 2025
Quando l'emozione mente

Benvenuti, sono il Dott. Valentino Moretto, psicologo e psicoterapeuta, mi occupo del trattamento del disagio e della sofferenza psichica, attraverso la parola e la sua cura.

Nella vita di tutti i giorni, capita di assistere o di vivere in prima persona reazioni emotive che sembrano eccessive rispetto alla situazione che le ha scatenate. Una critica innocua che provoca una rabbia intensa, una piccola dimenticanza che scatena un senso di colpa insopportabile, un rifiuto che genera disperazione.


Perché accade? È segno di un'emotività incontrollata o c'è un significato più profondo?

Sigmund Freud ci offre una chiave di lettura affascinante e estremamente attuale.

Nel descrivere il meccanismo che sottende a queste reazioni, Freud scrive (nel caso "L'uomo dei topi"):

«Quando si verifica una mésalliance tra uno stato affettivo e il suo contenuto ideativo (nel caso presente, tra l'intensità dell'autorimprovero e la causa che lo generava), un profano dirà che l'emozione è troppo grande per la causa, che è sproporzionata, e che quindi la deduzione che si trae da questo autorimprovero [...] è falsa. Il medico, invece, dice: No. L'emozione è giustificata. Il senso di colpa in sé non può essere soggetto a ulteriore critica. Esso, però, appartiene a qualche contenuto differente, che è sconosciuto (inconscio) e dev'essere cercato».


L'inganno dell'apparenza: la falsa connessione

Freud ci spiega che il problema non sta nella forza dell'emozione, ma nella sua associazione con un contenuto ideativo che non le appartiene realmente. L'emozione è autentica, ma si è agganciata a qualcosa di più superficiale, un evento attuale che funge da surrogato per un conflitto più profondo. In altre parole, non è che la reazione sia priva di senso: il senso c'è, ma non è dove lo stiamo cercando.

Per chiarire questo concetto, Freud utilizza un'analogia incisiva:

«Noi non siamo soliti avere forti emozioni prive di un qualsiasi contenuto ideativo per cui, se il contenuto manca, c'impadroniamo, come di un surrogato, di qualche altro contenuto, più o meno adattabile, in modo molto simile a quello della nostra polizia che, quando non riesce a catturare il vero assassino, al posto suo arresta qualcuno sbagliato».

Esattamente come la polizia che, pur di dare un senso alla propria ricerca, arresta un colpevole qualsiasi, così la nostra psiche connette un'emozione intensa a un evento che sembra spiegarla, ma che in realtà è solo un sostituto dell'origine reale.


Il lavoro psicoanalitico

Questo spiega perché, in molte situazioni, le argomentazioni logiche non riescono a farci superare certi stati emotivi. Se l'emozione è legata a qualcosa di inconscio, non basta convincersi razionalmente che non ci sia motivo di reagire in un certo modo: la mente conscia non può intervenire su ciò che non conosce. Solo un lavoro di esplorazione dell'inconscio, come quello psicoanalitico, può aiutarci a risalire alla vera origine dell'emozione e, con il tempo, a sciogliere questi legami impropri.


Le nostre emozioni non sono mai casuali. Quando ci sembrano sproporzionate o incomprensibili, possiamo leggerle come segnali che indicano una verità più profonda, sepolta nell'inconscio. Invece di liquidarle come reazioni irrazionali, possiamo provare a chiederci: che cosa sta cercando davvero di dirmi questa emozione? La psicoanalisi offre uno spazio in cui queste domande trovano ascolto, permettendo di trasformare il sintomo in conoscenza e la sofferenza in comprensione.
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