10 giugno 2024
Cura della parola, con la parola

Benvenuti, sono il Dott. Valentino Moretto, psicologo e psicoterapeuta, mi occupo del trattamento del disagio e della sofferenza psichica, attraverso la parola e la sua cura.

La psicoanalisi ha contribuito all'idea che la parola umana abbia un grande potere, quello di fare luce. Lo stesso Freud, padre della psicoanalisi, in uno dei suoi saggi più importanti porta l'esempio di un bambino di 3 anni che, mentre si trovava in una camera al buio con la zia, chiede a questa di parlargli perché ha paura.

La zia gli chiede a cosa servisse, non l'avrebbe vista comunque, ma il bambino rispose "Non fa nulla, se qualcuno parla c'è la luce".

Potrei concludere qui questo breve testo per quanto è cristallino quello che ci ha detto il bambino, ma quanto ci dice non è così scontato.


La parola sembra quindi chiarire, rendere accessibile una parte nascosta della persona che da sola spesso potrebbe non sapere come fare con tutte le parole che ha. Oppure, al contrario, non averne e ritrovarsi a comunicare attraverso il corpo e i sintomi che si creano su di esso.

Ansia, depressione, stress, insonnia o problematiche legate al cibo sono esempi di sintomi psichici a cui il lavoro psicoanalitico cerca di dare parola, proprio a ciò che l'uso della parola non ha.

Come se il corpo, la psiche, avesse un altra lingua per comunicare e quindi nasce la necessità di operare una traduzione per capire cosa c'è che si è incastrato, che si è inceppato.

Questa operazione, questa traduzione in parola, questa messa alla luce allora produce guarigione, produce la tranquillità del bambino che sosta nel buio con più tranquillità.

Come si può allora realizzare tutto questo? L'unico modo che conosco è quello dell'ascolto.

Un ascolto particolare, unico, proprio della pratica psicoanalitica, quell'ascolto che onora la parola perché accompagnata dal silenzio.

Un silenzio che rende possibile la rivelazione delle parole incastrate nel sintomo.


"Il chiarimento sull'origine dell'angoscia dei bambini lo devo a un maschietto di tre anni che una volta sentii dire alla zia in una camera al buio: "Zia, parla con me; ho paura del buio." La zia allora gli rispose: "Ma a che serve? Così non mi vedi lo stesso." "Non fa nulla – ribatté il bambino, – se qualcuno parla c'è la luce." Egli dunque non aveva paura dell'oscurità bensì sentiva la mancanza di una persona cara, e riusciva a ripromettersi la tranquillità non appena avesse avuto la prova della presenza di essa."


(Freud S. (1900-1905), Tre saggi sulla teoria sessuale e altri scritti, O.S.F. 4, Bollati Boringhieri, p.529)

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